Attrice e performer versatile, Carlotta Pircher esplora il confine tra teatro, cinema, performance e arti visive, creando un dialogo continuo tra linguaggi diversi.
Negli ultimi anni ha affiancato il suo percorso artistico a quello organizzativo e tecnico come aiuto regista e membro del dipartimento di produzione del prestigioso ROF, il Rossini Opera Festival di Pesaro, sviluppando così uno sguardo sapiente che unisce scena e dietro le quinte, creatività e pragmatismo.
Un’arte che dialoga. Nei tuoi lavori hai spesso messo in relazione teatro, performance e altre forme artistiche.
Come nasce per te questo desiderio di contaminazione tra linguaggi?
Nasce dall’osservazione di ciò che ci circonda.
Siamo immersi in un contesto che si esprime attraverso una moltitudine di linguaggi e credo sia impossibile, oggi, procedere seguendo un percorso che ignori questa questione se si vuole comunicare al pubblico del presente.
La contaminazione è un processo che arricchisce ogni ambito della nostra vita e, di conseguenza, non può che completare anche il prodotto artistico.
Dal palcoscenico al lavoro organizzativo. Ora fai parte della squadra del prestigioso Rossini Opera Festival di Pesaro.
Cosa ti ha insegnato l’esperienza come aiuto regista e nel dipartimento di produzione di un festival internazionale come il ROF?
Stare dietro le quinte mi ha insegnato che non c’è differenza con chi sta sul palcoscenico.
Per entrambe le posizioni è necessario avere una profonda conoscenza e altissima cura di ciò che si fa. E mi insegna ad essere un artista migliore.
La macchina organizzativa dello spettacolo dal vivo, soprattutto in ambito operistico, è molto complessa e l’esperienza di questi ultimi anni mi ha illuminata sugli errori commessi in precedenza, da artista.


Il tuo percorso unisce creatività e capacità gestionali.
Come convivono in te queste due anime apparentemente opposte?
Non trovo che siano opposte. Sono due facce della stessa medaglia.
Per entrambi i ruoli si tratta di avere uno spiccato senso di concretezza.
Un processo creativo disordinato non porta assolutamente a nulla, e rimane un prodotto sterile e vuoto.
Di contro, non si può pretendere di affrontare l’aspetto organizzativo senza creatività, perché al primo intoppo si rischia di fallire.
L’una cosa nutre l’altra e viceversa.
Il rapporto con il pubblico.
Nel tuo lavoro performativo c’è un’interazione diretta.
Cosa cerchi nello scambio vivo con chi ti guarda e ti ascolta?
L’unica ambizione che anima il mio lavoro è quella di generare domande in chi mi trovo davanti, di qualsiasi tipo.
Non amo le forme di spettacolo, oggi sempre più diffuse nei cartelloni nazionali, che hanno il solo scopo di ‘intrattenere’ (termine che mi irrita profondamente).
Il teatro deve essere scomodo, deve creare dubbi, tenere il pubblico in bilico, svelarne le debolezze, mostrare l’errore, perché solo così si può costruire qualcosa.


La sfida dell’opera.
L’opera è un linguaggio complesso, che richiede un grande lavoro collaborativo.
Cosa ti affascina di più del mondo dell’opera e cosa ti ha sorpreso lavorandoci dall’interno?
L’opera sta attraversando in questi anni un profondo cambiamento, così com’è accaduto alla prosa oltre 40 anni fa.
I nuovi direttori artistici, più lentamente in Italia rispetto al resto d’Europa, hanno capito che una Traviata in crinolina non comunica più nulla al pubblico odierno e sta sperimentando, seppur con forti resistenze, nuove vie di messa in scena, scavando nell’essenza sia di musica che di parola per far emergere gli archetipi che stanno nascosti fra le note, ancora inesplorati.
Poter osservare tutto questo dalla mia posizione privilegiata è molto interessante.
Se pensi al tuo futuro artistico, quale progetto o sogno ti piacerebbe realizzare che unisca le tue esperienze da performer e da organizzatrice?
Poter dirigere un teatro un giorno.
Come avvicineresti oggi, in questi tempi velocissimi e grandemente cambiati, i giovani al Teatro?
Educando gli insegnanti a non comunicarlo come qualcosa di antico e polveroso, esortandoli a rischiare, e provare a smettere di relegarlo alla sola questione letteraria.
Il teatro non è solo testo.
Il teatro è pensiero, è psicologia, è politica (vera).
Insomma, è la vita che stiamo vivendo.



