ALESSANDRO DALL’OLIO INCONTRA ANTONIO ORNANO

Antonio Ornano è uno degli artisti più amati del panorama comico e teatrale italiano.
All’età di 14 anni il padre lo porta a vedere a teatro “Il malato immaginario”, ed è qui che nasce una grande passione per la recitazione.
Dopo la laurea in Giurisprudenza Antonio inizia a dirigere i suoi primi cortometraggi, entra in una compagnia e vive una lunga gavetta teatrale.
Le cose cambiano quando emergono le sue doti comiche: frequenta il laboratorio di Zelig e inizia a “plasmare” i suoi personaggi più famosi: il mitico professor Ornano, etologo appassionato di bestie feroci, l’avvocato Arnoldi e tanti altri.
Con il suo stile ironico e pungente, capace di mescolare osservazione del quotidiano e comicità surreale, ha conquistato teatri, programmi televisivi e festival, sempre mantenendo un rapporto diretto e vivo con il pubblico.
La sua arte nasce dall’incontro tra il palcoscenico e la vita, in un equilibrio che continua a rinnovarsi.

Umorismo e teatro.
Antonio, sei un artista che lavora con la comicità ma con solide radici teatrali.
Come vedi il rapporto tra comicità e teatro oggi?

Il teatro resta ancora il luogo ideale dove poter fare comicità.
È lo spazio perfetto in assoluto, per fare comicità, perché un luogo d’ascolto il teatro.
Se sfruttato in tutte le sue potenzialità il teatro ti può consentire anche una meravigliosa intimità con il pubblico, ma al tempo stesso di avere dei tempi, grazie a dio, alle volte un pochino più dilatati.
Ti dà la possibilità di giocare su una comicità che magari non è soltanto di parola, non è soltanto ritmica, ma anche una comicità fisica.
Perciò secondo me il teatro resta la sempre il posto migliore per fare comicità.

Il pubblico come complice.
Nei tuoi spettacoli il pubblico non è mai solo spettatore, ma quasi un partner di gioco.
Che cosa cerchi in quello scambio diretto e immediato?

Allora una caratteristica della comicità, anche a teatro, è che il comico a differenza dell’attore deve raccontare, perciò deve per forza necessariamente instaurare un rapporto diretto con il pubblico e abbattere la famosa quarta parete.
E personalmente nel rapporto col pubblico, il comico, io perlomeno, cerco uno spiazzamento, cerco la possibilità di improvvisare e questa possibilità di improvvisare soprattutto ti dà la possibilità, di tenere alta la concentrazione, di essere ancora più presente nel qui ed ora nel rapporto diretto con il pubblico: che è l’elemento per chi è spettatore, forse più emozionante, cioè la sensazione di stare ad assistere uno spettacolo che magari ha sempre più o meno la stessa liturgia, perché comunque è un spettacolo comico ma teatrale, e però al tempo stesso come un concerto, un concerto come si deve, sta succedendo qualche cosa in quel momento che capita solo in quel momento lì.

Il comico come specchio sociale.
La risata spesso nasce da ciò che è più serio.
Secondo te, qual è oggi la funzione del comico nella società?

Nella società il comico ha questa meravigliosa funzione di regalare una parentesi, una parentesi di meravigliosa leggerezza al pubblico e allo spettatore.
Poi il massimo è quando oltre a regalare questa parentesi di leggerezza riesce a portare lo spettatore in una dimensione che ti fa anche un po’ a dimenticare il tuo quotidiano, le ansie del quotidiano, i dolori del quotidiano.
In quel caso poi può essere anche molto taumaturgica, come funzione quella del comico nella società.
Poi il comico ovviamente può fare anche riflettere, ci mancherebbe altro, però in prima battuta deve sempre fare ridere, deve regalare intelligenza, però finalizzata alla risata.
Alla risata e alla possibilità di non far sentire sole le persone.

Hai lavorato con successo sia in teatro che sul piccolo schermo.
Cosa cambia per te nell’atto creativo e nel rapporto con chi ti guarda?
La comicità in televisione è una comicità che ha un linguaggio completamente diverso rispetto al live, che non ti stravolge completamente come identità però ha un linguaggio diverso perché c’è un filtro, c’è uno schermo, e perciò lo stesso pezzo fatto per una trasmissione televisiva necessita di un’attenzione particolare: devi andare ad un ritmo secondo me molto più intenso, e poi c’è una differenza sostanziale, nel senso che in televisione – a meno che non si tratti di una registrazione di un tuo spettacolo o di un tuo programma televisivo – molto spesso tu entri a casa di qualcheduno, fosse solo una trasmissione di cui tu fai parte insieme ad altri comici, fosse solo anche semplicemente per il fatto che tu finisci in casa della gente.
E perciò devi avere una attenzione diversa anche ai contenuti, anche al linguaggio, almeno questo è il mio approccio.
Mentre per quanto riguarda il teatro sono nella mia dimensione ideale proprio perché non ho schermi non ho “costrizioni”, ecco.

L’importanza dell’arte e della cultura. In sede di bilanci nazionali o locali, la prima voce a subire tagli e riduzioni è proprio la Cultura. Quanto pesa questa situazione per chi lavora con le varie forme d’arte e deve portare il pubblico a teatro?
Innanzitutto secondo me occorre sempre fare molta attenzione, perché un conto è riorganizzare la distribuzione dei fondi, relativi alla cultura, e poi bisogna capire che tipi di parametri nuovi si vogliono utilizzare rispetto a quelli usati in passato, e un’altra cosa che purtroppo è sempre più frequente di anni come, giustamente, avete detto voi, sono i tagli ai fondi per la cultura.
Nel secondo caso, questo ovviamente incide tantissimo, soprattutto per la diffusione di determinati spettacoli, che magari non hanno questo richiamo di massa, non hanno questo richiamo commerciale, come ad esempio può avere un mio spettacolo da pagliaccio, da comico.
Ci sono spettacoli di danza, spettacoli di teatro di prosa, che meritano di essere sostenuti e che coinvolgono tante persone, non soltanto attori, registi, ma la gente che lavora sui palchi.
Il fatto di tagliare i fondi alla cultura significa anche tagliare un qualche cosa che serve anche economicamente, che è un volano economico fondamentale e qui ritorniamo nel discorso iniziale.
Non bisogna tagliare i fondi alla cultura, però bisognerebbe dal mio punto di vista, capire bene come riorganizzare la distribuzione dei fondi, capire bene come magari utilizzarli meglio rispetto come le abbiamo utilizzati fino ad adesso, per – anche – utilizzare la cultura come volano economico.
Basta andare a Londra, nel West End e vedere la quantità di spettacoli di musical, quanti musical sono presenti, quanti turisti li vanno a vedere, la professionalità di quegli spettacoli, tre cast che si alternano, è un qualcosa di incredibile e la quantità di gente che ci lavora dietro, perciò non è soltanto un volano artistico ma anche economico e occupazionale.
È purtroppo un discorso che va avanti da tanto tempo che andrà ancora avanti. Purtroppo.

Nella tua carriera ci saranno stati tanti momenti indimenticabili.
Ce n’è uno che consideri una svolta o che ancora oggi ti emoziona ricordare?

Boh, non lo so… ce ne sono tantissimi di momenti molto emozionanti. Ovviamente mi ricordo il primo spettacolo che ho fatto, gli applausi di questo teatrino minuscolo con 50 persone, era uno spettacolo di teatro di ricerca su Riccardo III mi ricordo, avevo 20 anni, mi ricordo quando abbiamo preso gli applausi di 50 persone che ci sembrava un qualcosa di strabiliante.
E mi ricordo ad esempio una puntata di Zelig: io, aperta parentesi, ho una strada po’ strana con Zelig, perché ho iniziato nel 2010 la prima edizione degli Arcimboldi, faccio il 2010-2011 facendo il personaggio dell’etologo; poi però sembrava che questo personaggio andasse bene ma non in prima serata, soltanto per Zelig off, e mi avevano detto che non avrei fatto una prima serata bensì la seconda con Zelig off, che andava in onda su Italia Uno.
Però al provino portato questo monologo, uno dei primi monologhi che ho scritto che è quello sui mercatini di natale, mi hanno detto “ma perché non lo fai sempre, nei panni dell’esperto di animali che può diventare un antropologo?”, l’ho fatto al provino, è andato benissimo, mi hanno lì fatto rifare Zelig.
E mi ricorderò per sempre quando ho preso questa ovazione da parte del pubblico, dopo che ho fatto il pezzo dei mercatini di Natale – a condurre erano Paola Cortellesi e Claudio Bisio- e ovviamente quando la gente applaude sei felicissimo, però sai che deve entrare un altro comico dopo, e hai sempre paura di essere lungo in scaletta, ho fatto per uscire e Claudio, mi ricordo, mi ha fermato ma detto “dove cazzo vai, vieni qui, vieni sul proscenio e goditi l’applauso del teatro degli Arcimboldi”, e mi ha fatto rimanere lì sul proscenio tenendo mi la mano, lui e Paola Cortellesi che mi stringevano per farmi i complimenti: ecco quello è stato un momento toccante.

Uno sguardo al futuro. Il claim del nostro teatro per questa stagione è “Lo spazio delle possibilità”.
Se guardi avanti, che cosa ti piacerebbe ancora sperimentare o portare in scena che non hai fatto finora?

Beh, in scena mi piacerebbe tornare al primo amore, mi piacerebbe tornare al teatro.
Ho bisogno di tornare al teatro, devo dire la verità, mi piacerebbe fare uno spettacolo, magari anche uno spettacolo di prosa, non lo so, però un monologo teatrale, non per forza squisitamente comico.
E poi mi piacerebbe fare magari un film, per un bel ruolo, in un film o in una serie, però mi piacerebbe fosse drammatico, non una commedia, per cambiare un po’.

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