Francesco Ferdinando Brandi, napoletano di nascita, fiorentino di formazione e vita, romano di residenza.
Anche un po’ bolognese di lavoro e amicizie.
Drammaturgo, regista, insegnante, esperto di pedagogia teatrale.
Ciao Francesco e grazie per inaugurare le nostre interviste per il magazine La Vita Dentro.
Come stai e in cosa sei impegnato ora?
Ciao e grazie di questo invito, sono molto onorato. Sto lavorando a tante cose e per fortuna molto diverse tra loro. Sto lavorando alla sceneggiatura di un film tratto dalla mia commedia teatrale “Prestazione occasionale”. Poi sto seguendo Il Teatro del Libero Scambio che è una compagnia teatrale che ho contribuito a fondare due anni fa, con tutti i giovani attori diplomati all’officina Pasolini, che è una scuola di teatro della regione Lazio, dove insegno. E poi, con la compagnia Area Fuori Tema di Bologna, stiamo preparando il nostro quarto spettacolo, che per il quarto anno consecutivo sarà ospite qui da voi in stagione.
Tu sei il regista di uno spettacolo che sta facendo risultati enormi, di pubblico e di critica, migliaia e migliaia di spettatori entusiasti in giro per l’Italia: parliamo di “Frà, San Francesco la superstar del medioevo”, con Giovanni Scifoni. Raccontaci un poco di questa grande produzione.
“Frà” è stato un viaggio bellissimo con Scifoni, che è un grande attore e oltre a essere un fantastico compagno di lavoro. E uno degli elementi del successo è stato proprio la grande armonia con cui abbiamo lavorato. L’idea era di raccontare di Francesco il lato meno conosciuto, la difficoltà, la sofferenza di gestire la sua immensa celebrità, pur predicando e praticando lui la povertà. Giovanni in scena è eccezionale, recita, canta, balla perfino dipinge, è uno stand up musical vivente. Le musiche sono state parte fondamentale della creazione dello spettacolo, non sono solo un commento musicale ma sono parte integrante della drammaturgia e Luciano di Giandomenico, eccellente musicista e compositore, le ha create cercando di unire le atmosfere suggestive e magiche del medioevo alla musica contemporanea. La musica è tutta eseguita dal vivo, con Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli che suonano più di 10 strumenti, di cui alcuni antichissimi, e dai nomi impronunciabili, e anche nel lavoro con loro durante le prove, l’armonia e il lavoro di gruppo, il rispetto, l’ascolto è stato parte essenziale della buona riuscita dello spettacolo.
Francesco Brandi è un un professionista che mette le proprie capacità anche al servizio di produzioni piccole ed emergenti.
Cosa ti fa accettare, o scegliere, un progetto rispetto a un altro?
Ma guarda, io quando lavoro con artisti di qualità non faccio veramente nessuna differenza tra professionisti e amatori, tra compagnie emergenti o compagnie affermate. Dove c’è voglia di fare un teatro bello, impegnandosi veramente fino in fondo, quella è casa mia e mi ci trovo perfettamente a mio agio.


Il Teatro è in costante difficoltà: contributi che diminuiscono, teatri che chiudono, sempre minore attenzione alla Cultura, scelte commerciali che divorano le scelte qualitative, influencer che prendono il posto di attori diplomati.
È cambiata l’idea che hai di questo lavoro?
No, direi che non è cambiata la mia idea di fare teatro. Certo è cambiato il mondo e di conseguenza anche il pubblico. Si è persa completamente l’abitudine al teatro, non rientra più nella quotidianità di chi, che ne so, vuole uscire la sera a fare qualcosa. Grande responsabilità ce l’ha la politica degli ultimi cinquant’anni, una responsabilità gravissima, che ha fatto sì che progressivamente la gente si disamorasse, si disinteressasse del teatro. E’ stata pervicacemente promossa quell’area di ricerca, sperimentazione, terzo teatro chiamatelo come mi pare, a discapito del teatro d’arte popolare e ci siamo persi milioni di spettatori per questo. E invece il teatro amatoriale oggi è in grande espansione proprio perché è andato a colmare quel vuoto di teatro popolare che quasi non c’era più. Il teatro non deve essere elitario, non deve essere escludente, non è appannaggio di chi si è laureato al Dams. Il teatro è uno dei riti più antichi dell’umanità, appartiene a tutti e dovrebbe parlare a tutti. Sofocle, Molière, Shakespeare, Goldoni, Eduardo erano assolutamente popolari e per questo li continuiamo a rappresentare e li amiamo ancora.
Come vivi i giudizi? Sei autocritico?
Ah, sì, sono autocritico. L’autocritica è la mia maledizione. Per quanti anni passino, per quante commedie scrivo e regie metto in scena, all’inizio di ogni nuovo lavoro penso sempre “non sono abbastanza bravo per fare questa cosa, no, non ci riesco, forse dico di no”. Ormai ci ho fatto pace, e comunque devo dire che anche se una maledizione la preferisco al suo opposto, cioè quello di avere un atteggiamento facilone o superficiale.
Tornando alla Vita dentro al Teatro, penso che 26 secoli fa – quando i Greci fecero nascere il teatro – il valore sociale era elevatissimo, e tutte le classi sociali andavano a teatro. Ora si va teatro per svagarsi, un tempo si andava a teatro per imparare a vivere. I tempi cambiano, si sa. Come vedi questa trasformazione?
Se il teatro debba divertire o educare è una questione su cui già si interrogava Aristotele, e poi via via Orazio, tutti i filosofi del Rinascimento e Illuminismo. Che dire, io non sono nessuno, però amo il teatro che diverte. Però penso anche che il teatro più bello sia quello dove ti diverti ma impari, non c’è niente di male a cercare divertimento nel teatro, ci mancherebbe, mica è un lavoro o un dovere, però io sento che il pubblico ama quando si diverte ma contemporaneamente gli si danno degli spunti per pensare, quindi un divertimento intelligente, un divertimento raffinato, non grossolano e volgare.
Tu hai figli nativi digitali.
A parte il lavoro del loro papà, dei quali saranno orgogliosissimi, che rapporto hanno con il Teatro, con il mondo dello spettacolo dal vivo?
I miei figli adorano il teatro per fortuna. Lo hanno praticato a scuola tutti e tre sia, quello di 15 che quella di 13 che quella di 6, e per me devo dire che sono anche un grande campanello di allarme, soprattutto i due adolescenti. Se un mio spettacolo piace a un ragazzo di 15 anni, come mio figlio più grande, vuol dire che probabilmente ho fatto un buon lavoro. Il teatro non è in alternativa all’intrattenimento digitale, possono coesistere, ma bisogna educare le nuove generazioni a scoprire il teatro e offrirgli un teatro che però possa piacergli, che gli parli, che gli corrisponda.


Tanti operatori culturali sottolineano la difficoltà estrema del dialogare con le scuole pubbliche, per formare spettatori del domani e per avvicinare bambini e adolescenti al mondo della Cultura.
Cosa ne pensi? Hai esperienze in merito?
Ritorniamo un po’ al discorso del tipo di offerta teatrale. La mia esperienza è che se mostri a un ragazzo uno spettacolo che lo interessa, che parla dei suoi problemi, della sua vita, di quello che affronta quotidianamente, quel ragazzo ti segue, vuole sapere, è incuriosito dalla tua visione delle cose. Però bisogna saper raccontare storie che li riguardano, altrimenti il teatro diventa stimolante come sapere la densità di abitanti per chilometro quadrato del Giappone. Il teatro non deve essere una fatica, deve essere una gioia, deve essere interessante, intrigante, affascinante. Deve parlare alle persone.
Il filo conduttore della stagione teatrale di quest’anno del TaG è “lo spazio delle possibilità”.
Quali sono gli spazi che dovremmo allargare o che dovremmo costruire?
Sale, sale, sale. Posti di aggregazione, dove le persone giovani anziani, bambini, adulti, possano riunirsi, fare arte, musica, danza, teatro. Se vogliamo avere una speranza, abbiamo bisogno di spazi dove unirci in maniera analogica e non digitale per creare. Altrimenti poi lo smartphone e Instagram e TikTok restano la sola alternativa.
In questa invasione di intelligenza artificiale, a teatro si continua a coltivare l’intelligenza naturale. Spingere la forza dei sogni, alimentare l’entusiasmo, vivere altre vite, ampliare i propri orizzonti. Cosa si cerca ora quando si fa Teatro? O quando si va a teatro.
Immedesimazione, divertimento e riflessione. Ripeto. un teatro popolare, un teatro d’arte ma popolare.
Sul frontone del Teatro Massimo di Palermo è inciso “…vano delle scene il diletto ove non mira a preparar l’avvenire”.
Beh è vero, il che non vuol dire cancellarlo il diletto, ma usarlo al meglio. Se lo spettatore esce dal teatro un po’ modificato rispetto a quando è entrato, allora abbiamo ottemperato il nostro compito, abbiamo svolto bene il nostro lavoro. Se abbiamo messo un seme di riflessione nel divertimento, prima o poi quel seme germoglierà, grazie a noi, così saltimbanchi, giocolieri dell’anima.
A cosa stai lavorando?
Adesso proprio nello specifico sto finendo di scrivere due commedie, che per tanti impegni di lavoro avevo trascurato e un po’ abbandonato, e finalmente sono in dirittura d’arrivo – soprattutto una delle due, l’altra è ancora zoppicante, e invece come regista sto preparando il nuovo spettacolo di Area Fuori Tema che presto sarà lì al TaG da voi.
Merda, merda, merda. A presto, caro Francesco.
Grazie a voi, grazie del lavoro che fate, è un piacere potersi confrontare con una realtà come la vostra, che sul territorio quotidianamente prova a fare cultura e a rilanciare il teatro: una bella idea di teatro. A presto.