Pittrice di rilievo internazionale, Antonella Cinelli indaga con la sua arte la complessità e la potenza espressiva del corpo umano.
Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna, è tra le protagoniste della “Nuova figurazione italiana” e ha esposto in prestigiosi musei e gallerie in Italia e all’estero, dal Museo Marino Marini di Firenze alla Biennale di Venezia, fino alla Cina, agli Stati Uniti, al Canada e alla Svezia.
Le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private, mentre come docente di Pittura presso le Accademie di Catania e Firenze, e come direttrice artistica del festival Figurabilia, accompagna nuove generazioni e pubblico nella scoperta della pittura figurativa contemporanea.
La “Nuova figurazione italiana”. Sei stata protagonista di questo movimento.
Vedi un legame tra la riscoperta della figurazione in pittura e la necessità, anche nel teatro, di tornare al corpo e alla presenza come linguaggi centrali?
Riflettere sull’immagine del corpo è una necessità dell’essere umano perché significa riflettere su sé stessi, pratica indispensabile oggi più che mai, per affrancarsi dall’immaginario di un corpo “sintetico” a cui siamo esposti attraverso i social media.
Corpo Sintetico anche nel senso della “sintesi” e dunque di qualcosa che non prevede le mille sfumature che vanno a costituire la complessità di un’identità.
La pittura di figura con i suoi tempi lenti, biologici, che osserva l’altro diverso da sé, contempla la sedimentazione lenta dell’idea, restituendo un immaginario che ha un punto di vista diverso, forse molto più vicino al sentire umano.
Non a caso si può godere a pieno della pittura solo quando ne facciamo esperienza diretta, assaporando da vicino sfumature, dettagli, scolature, pennellate e imperfezioni.
E in questa sorta di geografia sentimentale scorgiamo il gesto dell’artista che tenta di superare i propri limiti per comunicare qualcosa di incomunicabile.
In questo senso credo che l’esperienza dello spettacolo dal vivo parta dagli stessi presupposti e risponda alle stesse necessità.
Avere l’opportunità di vedere agire il corpo dell’attore è un’esperienza unica proprio perché circoscritta in un tempo “umano” che contempla l’incontro tra attore e spettatore.
Il corpo come linguaggio.
Nelle tue opere il corpo è al centro, in tutte le sue sfaccettature.
Se pensi al palcoscenico teatrale, quanto la tua ricerca pittorica dialoga con il corpo dell’attore e con la sua capacità di raccontare storie attraverso la fisicità?
Il corpo è il centro della mia indagine.
Anche io cerco di raccontare storie attraverso il corpo ma a differenza di un attore io rappresento il corpo, non lo uso come strumento. Inoltre non riesco mai a prescindere dalle caratteristiche salienti delle storie personali di chi ritraggo.
Ogni corpo porta i segni della propria storia ed è questo che mi interessa più di ogni altra cosa.
Se avessi l’opportunità di lavorare su un attore forse coglierei l’occasione per indagare quella misteriosa capacità di rimanere sé stessi pur entrando nei panni dell’altro.


La pittura e il teatro condividono l’elemento della messa in scena.
Ti capita di pensare ai tuoi quadri come a “scene” o a “atti” di una drammaturgia visiva?
Nella costruzione di un’opera pittorica “la composizione” dunque, lo studio dello spazio e del soggetto in rapporto al pieno e al vuoto, è fondamentale.
In questo senso comporre un’opera potrebbe significare anche mettere in scena un’idea, una storia. In più di un’occasione ho lavorato su figure tratte dalla drammaturgia.
Penso, per esempio, al ciclo pittorico che qualche anno fa ho dedicato all’Ofelia del dramma shakespeariano.
Figurabilia e il teatro.
Con Figurabilia hai creato a suo tempo un festival dedicato all’arte iconica a Bologna.
Quanto pensi che questo tipo di eventi possano dialogare con l’offerta teatrale e performativa della città?
Sarebbe bello se le due esperienze potessero dialogare, e ci fosse un luogo ed un appuntamento per sperimentare in tal senso, anche coinvolgendo giovani artisti.
Le varie discipline espressive da sempre si sono contaminate e queste contaminazioni sono luoghi di crescita per tutti.


Il ruolo della docenza.
Hai insegnato Pittura in Accademia.
Nella tua esperienza cosa hai cercato di trasmettere ai tuoi studenti in relazione alla dimensione pubblica e performativa dell’opera d’arte?
Ho cercato di trasmettere l’importanza dell’appuntamento con il pubblico che è il momento in cui finalmente il pittore, che solitamente lavora in solitudine nel suo studio, si confronta con l’esterno.
È un appuntamento che va preparato con molta cura ed è il frutto di mesi di studio e di ricerca.
Ogni scelta, dal colore allo studio dei materiali deve essere motivata dato che tutto ciò che costituisce l’opera visiva diviene parte di un discorso, dunque i giovani artisti devono imparare a parlarne ad un pubblico spigandone i perché.
Infine c’è la parte installativa, fase fondamentale perché l’opera deve dialogare con il luogo che l’accoglie.
In aula avevo creato uno spazio dedicato a vere e proprie mostre in cui gli studenti potevano sperimentare sia cosa significasse installare delle opere che parlare ad un pubblico.
Devo dire che era la fase del percorso che più emozionava e motivava i ragazzi.
Siamo il paese che detiene il 70% del patrimonio artistico mondiale e siamo l’ultima nazione europea a investire in Cultura.
Dal tuo punto di vista di artista, quali conseguenze ha questa mancanza politica sulla società e sulle nuove generazioni?
La conseguenza è che stiamo formando e crescendo giovani talenti che sperano di andare a lavorare all’estero. E molto spesso lo fanno.
Per il resto sperperiamo una miniera d’oro diseducando alla cultura con la falsa informazione che dedicarcisi non è un lavoro serio.
E lo facciamo mentre tutto il mondo si sposta per venire a vedere cosa siamo stati capaci di fare in secoli di storia dell’arte.
Un’opera come scena.
Guardando indietro al tuo percorso, c’è un’opera o una mostra che hai sentito vicina a una vera e propria messa in scena teatrale?
Per una mostra che realizzai in una galleria di Genova progettai un ciclo di opere pittoriche che intitolai “interno notte”.
Si trattava di un susseguirsi di tele che raccontavano la notte di una giovane donna partendo dalla preparazione e passando a raccontare gli incontri e i momenti di solitudine e sconforto.
Lo stile era molto realista, a tratti crudo.
Alcune di queste opere, successivamente, furono richieste e usate per una messa in scena teatrale dedicata ad Anna Magnani.



