LVD INTERVISTA CRISTINA NUGHES

Ci sono gesti che vanno oltre la generosità.
Hanno il sapore della fiducia, della memoria, della bellezza che cerca un luogo dove continuare a vivere.
Al TaG è arrivato uno di questi doni preziosi: una raccolta di libri interamente dedicati al Teatro, eredità della professoressa Anita Bergamini, appassionata e raffinata studiosa, che ha vissuto il Teatro con cuore e intelletto.
A donarcela è stata una sua ex allieva, Cristina Nughes, che nutre una profonda stima per il coraggio e il lavoro della nostra direzione artistica e culturale.
Ha pensato a noi, al nostro foyer, come al luogo giusto dove far risuonare ancora quelle parole, quei pensieri, quelle storie.
Cristina Nughes è attrice, regista, insegnante di recitazione, qualche volta scrittrice. In questi ultimi anni aiuta professionisti, studenti e relatori a migliorare la loro performance scenica e comunicativa (www.nughes.it).

Ciao Cristina, in cosa sei impegnata ora?
Professionalmente parlando ho appena terminato un laboratorio di teatro-yoga con un bellissimo gruppo di disabili che si chiama “Tuttinsieme”.
Poi ho appena terminato un breve corso di recitazione. Ci tengo a precisare “di recitazione” poiché ormai tutti fanno corsi e laboratori di teatro e tantissime compagnie vanno in scena con uno spettacolo diverso ogni anno senza cercare di migliorarsi tecnicamente.
Inoltre sono appena iniziate le prove per un nuovo spettacolo: dopo anni mi metterò in gioco di nuovo.

Partiamo dall’inizio: un giorno tu hai telefonato al nostro direttore chiedendogli se fosse interessato a ricevere una donazione di circa duecento volumi sul Teatro. Com’è andato questo contatto?
Benissimo! Erano almeno tre anni che cercavo di sistemare questi libri. Il mio desiderio era che finissero in un teatro: quale posto migliore per dei libri di teatro che stare in un teatro? Ma quasi subito ho desistito, ripiegando sulle biblioteche: mi sembrava più semplice, ma purtroppo non lo è stato. Così, per tre anni, li ho lasciati in un teatro parrocchiale, liberi alla consultazione (o almeno così speravo); ma un giorno, frequentando il retropalco, mi sono accorta che erano stati tutti inscatolati e abbandonati a morire al buio e ho pensato “Piuttosto che così, li riprendo”.
Però, ho voluto fare un ultimo tentativo per tenerli uniti, tornando al mio desiderio iniziale: vederli in un teatro e mi sono messa in contatto con voi. Mai smettere di sognare!

Come sono arrivati a te questi libri? Cosa rappresentano per te, a livello personale ed emotivo?
Sono venuta in possesso di questi libri, e di tantissimi altri che ho donato al Conservatorio di Bologna, dopo la morte della mia professoressa di italiano delle superiori. Anita Bergamini è stata colei che mi ha portata in scena per la prima volta, nel 1984. Avevo 15 anni. Era la compagnia teatrale della mia scuola e la professoressa Bergamini fu una delle fondatrici del progetto “Il teatro nelle scuole”. Prima di diventare insegnante Anita era stata per alcuni anni aiuto regista di Giancarlo Sbragia, quindi aveva davvero un’ottima esperienza sul campo e una cultura incredibile. Sin da piccola aveva una indomabile sete di storie, ma la sua famiglia non aveva abbastanza soldi così un giorno sua madre la portò in biblioteca. Lei rimase talmente colpita da tutti quei libri che non sapeva da dove iniziare a leggere. Quindi decise di cominciare dal primo settore e dalla lettera A.
Negli anni li lesse più o meno tutti: dai gialli al teatro, dai romanzi rosa a quelli d’avventura, fino alla poesia. La sua casa conteneva oltre diecimila volumi, senza contare i vinili, i dvd, i copioni e i suoi manoscritti. Ha vissuto per la cultura, per trasmetterla e per portarla avanti con la sua attività di regista, oltre che di insegnante.

Cosa ti ha spinto a volerli donare? Cosa speravi che accadesse a questi libri?
Anita si ammalò di Alzheimer. Lei, che aveva letto migliaia di libri e sapeva a memoria migliaia di versi… Non potevo tenermi in cantina quel materiale, mi sentivo come fossi stata incaricata di far sì che tutto non avesse una fine. Lei amava il teatro, la musica classica e l’opera lirica. Quale posto migliore per i suoi libri? Quando sono andata alla biblioteca del conservatorio per vedere dov’era stato disposto il suo materiale, ovunque si sentivano studenti suonare: ho pensato che Anita sarebbe stata felice di sapere che il suo materiale avesse una costante colonna sonora e sono sicura che Anita sarebbe felice dell’atmosfera del TaG per i suoi libri. E poi chissà, magari un giovane di passaggio al TaG prenderà in mano un libro, si incuriosirà e poi…

Tu all’inizio avevi pensato a biblioteche pubbliche, enti pubblici, ma stavi per desistere in questa donazione a forza di sbattere contro muri burocratici e difficoltà incontrate lungo il percorso: cosa ti ha colpito maggiormente di queste difficoltà? Ti sei sentita scoraggiata?
Inizialmente ero incredula, non immaginavo che fosse così difficile regalare libri alle biblioteche. Tuttora faccio fatica a capire. Chi mi ha detto che non aveva il posto, chi mi ha detto che la tipologia non era fruibile per il tipo di utenza, molti mi hanno detto che avrei dovuto scrivere una mail a tizio e a caio e fornire delle liste di titoli (secondo loro avrei dovuto mettermi io a catalogare!). Mi sono scoraggiata, odio la burocrazia.
Per fortuna non è andata così con il Conservatorio di Bologna. La responsabile, la dott.ssa Annarosa Vannoni, ha risposto “Bellissimo, grazie per aver pensato a noi”. Adesso al Conservatorio esiste il fondo Bergamini. E fortunatamente è stato così anche quando alla mia proposta il direttore Alessandro Dall’Olio mi ha ascoltato, ha compreso, ringraziato e ha risposto con grande entusiasmo.

Che cosa significa per te sapere che ora questi libri “vivranno” nel foyer di un teatro, disponibili a chi li vuole leggere e scoprire? È un po’ come se fossero tornati a casa?
Praticamente sì, è proprio così. Per me adesso saranno dove dovrebbero stare di diritto, anzi, sarebbe bellissimo che un giorno tutto il materiale relativo al teatro si spostasse dalle biblioteche nei teatri stessi. Immaginate se un giorno un qualsiasi cittadino che desideri leggere del materiale, andasse a cercarlo a teatro e non in biblioteca. Io ci vedo un senso, ma forse sono solo una sognatrice.

Che ruolo ha avuto il teatro nella tua vita?
Fondamentale, per molti anni prioritario. Ma se ripenso alla mia adolescenza e alle amicizie delle superiori, mi rendo conto che quegli anni hanno segnato profondamente la mia crescita. Io poi ho fatto l’Accademia e ho continuato, ma “il teatro a scuola, la scuola a teatro” ha rappresentato una delle esperienze più potenti della mia vita. La potenza del teatro, soprattutto a quell’età, è incredibile e Anita è stata un mentore per centinaia di studenti.

Viviamo tempi difficili, spesso pieni di superficialità e velocità. Perché pensi che il teatro e la cultura in generale siano ancora necessari?
Non credo sia necessario diventare per forza delle persone acculturate, non è questo il punto, e nemmeno laurearsi. La cosa importante è la possibilità che la cultura e il teatro danno di fare un’esperienza fisica e emotiva (cosa che i social non possono fare). Leggere e capire tutto ciò che c’è al di là delle parole, imparare a memoria, capire in modo sottile e profondo il significato del testo in tutte le sue parti, cercare i toni, i silenzi, le pause, ascoltare l’altro, suggerirsi a vicenda, sbagliare e riderci insieme, toccarsi, abbracciarsi, esprimere sentimenti. Il teatro è un continuo mettersi in gioco, un continuo spogliarsi per rivestirsi per poi spogliarsi e rivestirsi ancora. Scoprire continuamente parti di sé stessi, emozioni nuove, mettere sul piatto le proprie rabbie e i propri dolori.
In pratica è vivere altre vite tramite il tuo corpo e le tue emozioni, in un ambiente tutelato.

Quale funzione può avere un teatro di qualità oggi? Che tipo di “casa” può essere per le persone?
Il teatro di qualità non ti parla dall’alto, ma ti tende la mano: che tu sia spettatore o attore, ti mette in relazione, ti fa partecipe, ti fa sentire necessario. Sarebbe bello che fosse una casa con le porte aperte, dove si entra anche solo per curiosità e si esce trasformati, un po’ più svegli, un po’ più empatici, un po’ più “presenti”. Uno spazio in cui puoi sentire che c’è ancora tempo per rallentare, guardare, ascoltare, riflettere. Dove puoi commuoverti, ridere, spiazzarti, e tornare a casa con un pensiero nuovo in tasca, un posto che ti accoglie se sei stanco, confuso, se hai voglia di capire, se hai bisogno di stare in silenzio con altri, se cerchi una emozione vera.
Il teatro oggi può e deve essere una casa. Una casa fatta di sipari e poltrone, di polvere e luce, ma in cui puoi sentirti protetto anche quando sei completamente esposto.

Cosa diresti a chi pensa che la cultura, il teatro, i libri siano “passatempi” di nicchia e non qualcosa di essenziale per la società?
Posso appellarmi al quinto emendamento? No, va bene, rispondo.
A chi pensa che la cultura sia un passatempo direi che probabilmente non ha mai letto il libro giusto al momento giusto, non ha mai pianto a teatro né si è sentito sollevato da una battuta detta al momento perfetto. La cultura non è un passatempo. È un attivatore: di pensiero, di emozioni, di dubbi, di domande e anche di idee.

Hai un ricordo teatrale – uno spettacolo, un attore, una serata – che ti è rimasto particolarmente nel cuore e che vorresti condividere?
Quando sono stata dietro le quinte di “Medea” a farmi fare l’autografo da Mariangela Melato.
Ricordo il suo corpo esile, i capelli cortissimi e biondi, il vestito grigio, ma soprattutto ricordo la forza straordinaria dei suoi silenzi e la potenza della sua voce.
A fine spettacolo ero innamorata del teatro più di quando ero entrata, dovetti assolutamente andare in camerino. Lei fu dolcissima, molto materna.

C’è un messaggio che vorresti lasciare, proprio in questi tempi sempre più bui?
Credo che tutta la nostra società abbia bisogno di rallentare. In ogni cosa. Rallentando ci diamo la possibilità (e di nuovo usiamo questa parola) di sentire, di riflettere, di ascoltare, di capire e quindi di essere più consapevoli. Al giorno d’oggi credo che molti di noi manchino di consapevolezza.

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