Dietro un grande spettacolo c’è sempre anche chi lo racconta al mondo.
Agente di numerosi artisti, ufficio stampa e responsabile della comunicazione di Altra Scena, Rocchina Ceglia ha seguito oltre 400 spettacoli teatrali negli ultimi anni.
Laureata in comunicazione, giornalista dal 2009, ufficio stampa di diversi teatri italiani, Rocchina Ceglia si occupa della produzione di spettacoli di prosa e cura il management di diversi attori, soprattutto comedian di cui cura i live; è direttrice artistica di Festival teatrali e ideatrice di svariati progetti culturali atti alla valorizzazione di diverse arti e dei territori in cui i progetti si svolgono.
Dal 2016, la sua esperienza si è fusa con quella del regista Giancarlo Nicoletti, dando vita ad Altra Scena portando visibilità a produzioni e stagioni di teatri in tutta Italia.
Conosce il palcoscenico da un punto di vista privilegiato: quello di chi ne amplifica la voce e lo connette al pubblico.
In pochi conoscono il lavoro dietro la comunicazione di uno spettacolo. Come si costruisce la storia che accompagna un debutto?
Sia in veste di produttrice che in veste di responsabile della comunicazione di uno spettacolo posso dare la stessa risposta: studiando, approfondendo e conoscendo tutti i dettagli dello spettacolo che andrà in scena. È importante raccontare la storia, il significato, il valore del testo e il messaggio che vuole trasmettere. Ogni anno negli uffici di AltraScena, la realtà produttiva che ho messo in piedi insieme al regista Giancarlo Nicoletti, pensiamo alle nuove produzioni, cerchiamo testi che siano in linea con la nostra idea di teatro. La comunicazione la costruiamo partendo dalla scelta del tipo di teatro che vogliamo produrre. La nostra visione è quella di un teatro vivo, partecipato e luogo di domande e discussione, fuori dalle logiche commerciali, un teatro che spesso è in controtendenza, ma anche lontano dall’innovazione fine a sé stessa e autoreferenziale. Ideando e sviluppando progettualità di lungo periodo, la comunicazione la creiamo insieme agli artisti che collaborano con noi, spesso stabilmente, avendo cura di salvaguardare la loro unicità e i loro percorsi.


Con così tante esperienze alle spalle, quali sono i progetti che ti hanno insegnato di più e in che modo?
Ogni lavoro mi ha lasciato qualcosa, sia quando ho lavorato come ufficio stampa, sia quando li ho prodotti. Gli spettacoli di cui ho seguito la comunicazione sono diverse centinaia, ma ognuno di loro ha rappresentato qualcosa di importante soprattutto all’inizio della carriera, perché mi ha garantito una profonda crescita professionale. Ogni spettacolo mi ha permesso di arrivare a quello successivo conoscendo attori, direttori, artisti e addetti ai lavori. Gli spettacoli che ho prodotto, con Altra Scena, invece, li ricordo tutti. Penso a “Persone Naturali e Strafottenti”, in tour da sei anni, con la straordinaria Marisa Laurito, oppure “I Due Papi” con i due mostri sacri Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo, oppure “Ovvi Destini” con Vanessa Scalera e “L’Onesto Fantasma” con Gianmarco Tognazzi, “A Mirror” con Ninni Bruschetta, Greg, Fabrizio Colica e Paola Michelini: tutti spettacoli che porto nel cuore per la bellezza della storia raccontata, il lavoro certosino che abbiamo svolto dall’adattamento dei testi, alla ricerca degli attori adatti al ruolo, alle scenografie, spesso curate da Alessandro Chiti e il rapporto meraviglioso che si è creato con gli artisti. Ho nel cuore anche tanti altri progetti: in primis la Stand Up Comedy. Sono stata la prima, insieme ad altri sette comedian, in Italia a credere in questa comicità che ora è tanto diffusa. Nel 2010 lavoravo all’ufficio stampa di Satiriasi, il primo collettivo di stand up in Italia, da lì il passaggio alla produzione e distribuzione di un genere che non era affatto conosciuto. Giorgio Montanini, Daniele Fabbri, Francesco De Carlo, Chiara Becchimanzi, Laura Formenti sono i comedian che seguo da diversi anni con grandi soddisfazioni ma ho seguito gli esordi di Valerio Lundini, Edoardo Ferrario e altri nomi ora molto famosi. In ultimo, ma non per importanza, ricordo anche quanto mi abbia donato l’eleganza di Emanuele Salce con i suoi “Mumble Mumble” (in scena da oltre dieci anni), un grande attore, grande uomo, diventato un grande amico. O la potenza del racconto de “Il Cacciatore di Mafiosi”, progetto che porto avanti insieme ad Alessandro Bardani con il magistrato Alfonso Sabella o ancora “La Genovese”, spettacolo di poesia performativa con Gennaro Madera e Davide Avolio.


Tra artisti e teatri. Il tuo lavoro ti porta a dialogare con mondi diversi, dalle compagnie ai direttori artistici. Come riesci a far convivere esigenze e linguaggi differenti?
Non è facile perché le esigenze sono diverse, spesso diametralmente opposte e gli imprevisti sono dietro l’angolo. Ho una dote naturale, però, che aiuta tanto: la pazienza, mista alla capacità di ascoltare e una buona dose di empatia. Grazie a questi piccoli, semplici ma fondamentali ingredienti riesco a far collimare richieste, esigenze, evitando malcontenti. Sia chiaro, non sempre si riesce, non faccio miracoli, però a parte qualche episodio sporadico, che a distanza di tempo ricordo anche con il sorriso, non ricordo cataclismi.
Comunicazione e cambiamento. Negli ultimi anni i canali e le abitudini del pubblico sono cambiati. Come si racconta il teatro nell’epoca dei social e dei contenuti veloci?
Si racconta a mio avviso molto velocemente. Sarò nostalgica ma servirebbero più dei tre secondi imposti dagli algoritmi per raccontare una storia .
C’è stato un lancio, una campagna o una reazione del pubblico che ti ha fatto pensare: “Ecco perché faccio questo lavoro”?
Lo penso ogni volta che vedo il pubblico emozionarsi, ogni volta che sento gli applausi scroscianti a fine spettacolo, ogni volta che sento la gente ridere e tutte le volte che gli attori a fine spettacolo si inchinano al pubblico.
Spesso capita di ricevere messaggi da giovanissimi spettatori che ci ringraziano per aver raccontato una storia che li ha toccati particolarmente o per avergli fatto vedere un altro punto di vista. Messaggi di genitori, che spesso vengono portati a teatro dai loro figli, che ci ringraziano per aver affrontato argomenti di cui la scuola dovrebbe occuparsi. Lo penso quando, dopo aver visto lo stesso spettacolo decine di volte, mi emoziono come se fosse la prima replica.